Codice del consumo e clausole vessatorie

19 apr Codice del consumo e clausole vessatorie

Share Button

Abbiamo già visto, in un precedente articolo, come sia definito il consumatore nella legislazione europea, ricordando come distinguere correttamente consumatore e professionista sia un’operazione di non poco momento: da qui, difatti, discendono l’applicazione o meno di numerose norme di tutela, riservate alla prima categoria.

Una di queste è quella delle clausole “abusive” indicate nell’art. 33 cod. consumo (che ripropone il testo dell’abrogato art. 1469 bis c.c.) la quale prevede la nullità di tutte le clausole che, “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto“.

Peraltro, così come la già citata definizione di consumatore ha portato molti problemi interpretativi, anche l’articolo in parola non è scevro da discussioni accese almeno su due questioni.

  • Il significato dell’espressione “malgrado la buona fede”

In buon italiano, questa locuzione dovrebbe tradursi nel senso della non rilevanza dello stato soggettivo del professionista che abbia predisposto la clausola; così, la clausola sarebbe invalida a prescindere dal fatto che l’imprenditore fosse in buona o mala fede.

Senonché, da un punto di vista prettamente giuridico, questa interpretazione porterebbe all’inutilità dell’inciso, dal momento che le nullità fondate su presupposti oggettivi rilevano, già di per sé, a prescindere dallo stato soggettivo del contraente (come abbiamo già visto nel nostro video sulla nullità del contratto).

Ecco allora che, secondo un’altra e forse più seguita interpretazione, l’espressione qui studiata deriverebbe in realtà da una imprecisa traduzione dall’originale francese”en depit de l’exigence de bonne foila quale, piuttosto che con l’italiano “malgrado“, andrebbe tradotta con “in contrasto (con)“.

In questo caso, la conclusione sarebbe quindi esattamente opposta rispetto alla prima interpretazione e saremmo in presenza di clausola abusiva solo previo accertamento della mala fede di colui che l’ha predisposta.

 

  • Cosa si debba intendere per “significativo squilibrio”

Chiunque può intendere quale sia il grado di discrezionalità di questa espressione; cerchiamo di fare chiarezza per quanto possibile.

Secondo l’articolo 34, lo squilibrio deve essere esclusivamente di tipo normativo e non economico. Non rilevano quindi le differenze di prestazioni o corrispettivi, le quali casomai potranno essere fatte valere con le “classiche” azioni di rescissione di cui agli artt. 1447 e seguenti c.c.. Dovrebbe di conseguenza trattarsi di uno svantaggio nei diritti e negli obblighi derivanti da contratto, e cioè di impegni imposti ad esclusivo carico di una parte (consumatore) non compensati da equivalente sacrificio dell’altra (professionista).

In realtà, molto spesso più che alla definizione in parola si fa ricorso alle presunzioni indicate nel codice medesimo e cioè:

  1. Quelle di cui all’articolo 36, le quali designano le clausole nulle con presunzione iuris et de iure (non ammettono prova contraria e quindi sono sempre nulle);
  2. Quelle di cui all’articolo 33 (si tratta comunque di un elenco esemplificativo e non tassativo) le quali designano le clausole nulle con presunzione iuris tantum (ammettono prova contraria a carico del professionista, il quale potrà cercare di dimostrare la mancanza del significativo squilibrio).

 

Va da sé che per le clausole non rientranti nei punti 1 e 2 dovrà invece essere il consumatore che invochi la nullità a dimostrare, questa volta, l’esistenza del significativo squilibrio a suo carico.

Avv. Domenico Balestra