Criteri equitativi di risarcimento del danno

05 apr Criteri equitativi di risarcimento del danno

Share Button

Molti di noi, nel sentire aggettivi come “milanese” o “genovese”, associano immediatamente alla parola immagini di alcuni magnifici piatti della nostra bella Italia.

In realtà, per chi ha a che fare con la materia della responsabilità civile e relativo risarcimento del danno, tali qualificazioni vogliono (o quanto meno volevano) dire tutt’altro.

Quando, infatti, nella determinazione del danno medesimo, il giudice non può rifarsi a criteri puramente legali, dovrà fare ricorso a criteri c.d. “equitativi“, cercando appunto di stabilire, in via di equità, quale sia il risarcimento corretto per il caso specifico; ovviamente, ciò potrebbe produrre, nella realtà, valutazioni abnormemente diverse per casi simili ed è per questo che la giurisprudenza, anche nel campo del criterio equitativo, ha stabilito nel tempo dei sistemi che il giudice può seguire per orientare la sua decisione.

Qui arrivano, appunto, gli aggettivi di cui all’apertura, in quanto ovviamente si sono formati sistemi diversi su vari fori, tra i quali i più seguiti erano:

  • criterio a punto variabile (c.d. “milanese“);
  • criterio equitativo puro;
  • criterio tabellare (c.d. “genovese“);
  • criterio a punto elastico (c.d. “pisano“).

 

Sgombriamo subito il campo specificando che il primo, per questioni di più ampio e diffuso utilizzo (ma anche perché obiettivamente più omogeneo), è stato già da anni promosso a criterio universale di applicazione su tutto il territorio nazionale dalla Corte di Cassazione; e vale ancora una volta la pena di rimarcare che il criterio equitativo non è il primo in senso gerarchico che il giudice deve utilizzare, avendo carattere, per così dire, residuale.

Ma in cosa consiste, quindi, questo punto variabile?

In sostanza, il sistema si basa su una formula matematica, secondo la quale ad ogni punto di invalidità corrisponde un valore monetario; tale valore (del singolo punto) cresce rispetto al crescere dell’invalidità e viceversa si abbassa con l’età della vittima.

La ratio è evidente, nel senso che più l’invalidità causata è grave, più saranno evidenti i disagi del danneggiato.

A tal proposito, è ormai da anni applicata una tabella secondo la quale a seconda del grado di invalidità e della fascia di età del danneggiato corrisponde l’ammontare del risarcimento.

Ciò chiaramente non significa che il giudice debba limitarsi ad applicare una semplice formula, in quanto il medesimo:

  • può – anzi deve secondo la Cassazione – apportare aumenti o riduzioni alla somma risultante, tenendo conto delle circostanze del caso concreto;
  • deve fornire adeguata motivazione circa la liquidazione operata, indicando i fattori che lo hanno portato a decidere liquidazione e personalizzazione del risarcimento.

Avv. Domenico Balestra