La clausola claim’s made

21 dic La clausola claim’s made

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Da qualche tempo, si sono diffuse in alcune tipologie di polizze le clausole c.d. “claim’s made“, le quali prevedono, sostanzialmente, uno sganciamento tra il momento in cui si è verificato il danno e l’istante in cui il danneggiato porta la sua richiesta di risarcimento del medesimo.

Se, infatti, secondo il dettato tradizionale di cui all’articolo 1917 c.c., in merito alla responsabilità civile, “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo” la clausola in parola prevede che l’obbligo dell’assicuratore scatti solo nel momento in cui perviene all’assicurato la richiesta di risarcimento del terzo.

Dato questo minimo comune denominatore, le clausole claim’s made possono poi dividersi in plurime tipologie, quali ad esempio:

  1. quelle che prevedono che la copertura operi solo quando sia il fatto illecito che la richiesta risarcitoria sono avvenuti nel periodo di efficacia del contratto;
  2. quelle che richiedono che la sola richiesta sia stata portata nel periodo di efficacia contrattuale, mentre il fatto potrebbe addirittura essere stato commesso prima (c.d. “garanzia pregressa“, la quale a sua volta può essere illimitata o limitata ad un certo numero di anni anteriori);
  3. quelle che coprono i danni causati da fatto illecito commesso in constanza di contratto e richiesta di risarcimento fatta nello stesso periodo o per limitato periodo di tempo successivo (c.d. “garanzia postuma“);
  4. quelle che prescrivono che la richiesta sia pervenuta durante il periodo di efficacia del contratto.

 

Proprio per queste caratteristiche peculiari, molto si è discusso in giurisprudenza circa la validità delle clausole in parola. Se, difatti, taluni ritengono che la clausola sia valida ed anzi persegua interessi meritevoli di tutela, quali ad esempio la copertura del sopra indicato rischio pregresso, altri, (tra i quali la Suprema Corte di Cassazione) la ritengono vessatoria ex art. 1341 c.c., con accertamento però caso per caso devoluto al giudice di merito.

A ben vedere, difatti, la tipologia sopra identificata con il numero 2) potrebbe rivelarsi addirittura favorevole per l’assicurato, estendendo la copertura a periodi anteriori alla stipula dell’accordo, mentre la numero 3) potrebbe essere ininfluente a seconda della durata del limite prestabilito per la denuncia, mentre per i numeri 1) e 4) molto probabilmente ci si troverà di fronte a clausola vessatoria e quindi ancorata, per la sua validità, al requisito della doppia firma.

Vi è, però, anche chi sostiene addirittura la nullità di dette clausole, per presunti e plurimi contrasti con numerose norme del codice civile:

  • in alcuni dei casi sopra descritti, si potrebbero assicurare rischi già verificatisi prima della stipula del contratto, in violazione dell’art. 1895 c.c.;
  • in generale, si farebbe comunque sempre dipendere l’efficacia della copertura dalla scelta, del tutto potestativa, del terzo danneggiato su quando presentare la richiesta di risarcimento del danno patito;
  • sovvertendo il normale principio di cui all’art. 1917 c.c. descritto in apertura, si priverebbe il contratto di assicurazione della sua causa tipica e cioè del trasferimento del rischio in capo all’assicuratore.

 

Non vi è chi non veda, poi, nella separazione tra fatto e richiesta, un interesse positivo dell’assicurato nel sollecitare il danneggiato a portare la richiesta medesima entro la scadenza specificata nella clausola; in questo modo, però, nascerebbe al contempo un interesse al verificarsi del rischio (ovverosia, appunto, la richiesta medesima) distorcendo così lo schema previsto dal legislatore, secondo il quale evidentemente l’assicurato non dovrebbe volere il verificarsi del fatto (così, ad esempio, l’art. 1900 c.c. il quale esclude la risarcibilità dei sinistri cagionati con dolo o colpa grave).

Avv. Domenico Balestra