03 dic Introduzione al D.Lgs. 231/2001
Introduco, oggi, uno degli argomenti che più mi hanno appassionato negli ultimi anni, per innovazione, complessità e vicinanza al mondo aziendale che da sempre frequento. D’altra parte, penso che la sfida più grande, in un momento di crisi ormai prolungata, sia proprio quella di trasformare il costo in risorsa, e credo fermamente che un modello 231 adeguato sia il modo migliore per farlo.
Il Decreto 231 è portatore di una straordinaria novità, in quanto supera, per la prima volta, il tradizionale principio del “societas (rigorosamente, per i latinisti, con l’accento sulla i) delinquere non potest”, da sempre argomentazione giuridica classica secondo la quale l’ente è un artificio giuridico-economico che, operando grazie all’attività di soggetti (persone fisiche) diversi da sé, non può essere dotato di quella volontà necessaria a disegnare il rapporto tra fatto e responsabilità. Ciò vale sia dal lato oggettivo, in quanto se la società non è in grado di agire da sola non può neppure essere in grado di commettere un atto qualunque, sia dal lato soggettivo, poiché l’ente non sarebbe in grado di porre in essere atteggiamenti né dolosi né colposi.
Per questi motivi, le persone giuridiche sono sempre state definite come “incapaci di agire”, “incapaci di colpevolezza” e “insensibili alla pena”.
Tale linea è stata peraltro ricalcata e confermata sia dal nostro codice penale, il quale è tutto costruito intorno alla persona fisica (e che quando intende riferirsi alla “persona giuridica” la richiama esplicitamente) sia dalla Costituzione del 1948, che all’articolo 27 dichiara che “la responsabilità penale è personale”.
Tutte queste limitazioni, paiono tanto più strane se si pensa che, da un lato, la persona giuridica è riconosciuta in tutti gli ordinamenti giuridici, e in tutti è considerata titolare di diritti e doveri nonché destinataria di innumerevoli atti normativi in materia civile, penale, amministrativa, tributaria; dall’altro, essa è capace di perseguire fini produttivi e sociali impossibili per l’uomo, di divenire un centro economico di grande forza (ad esempio pensiamo a come certe società possono condizionare l’andamento delle Borse) e allo stesso tempo anche un punto nevralgico a livello sociale (dal momento che può dare e togliere lavoro a moltissime persone).
D’altra parte, i problemi circa il brocardo “societas delinquere non potest” sono comuni in tutto il mondo; gli Stati Uniti sono stati i primi a muoversi verso una concezione diversa, che riconosce la società come un organismo capace di agire e di commettere quindi anche dei reati. Il primo passo è stato compiuto con il Foreign Corrupt Practises Act del 1977, ma anche successivamente ci si è mossi verso questa direzione col Criminal Fine Enforcement Act del 1984, il quale ha reso più aspre le sanzioni irrogabili agli enti, e ha anche previsto un sistema capace di plasmare la struttura interna delle società, potendone condizionare persino lo statuto.
Inoltre, numerosi enti americani, dopo gli scandali giudiziari degli anni ’60 (gli “electrical cases”), degli anni ’70 (il gran numero di violazioni alla normativa antitrust) e degli anni ’80 (la corruzione diffusa e l’insider trading) hanno deciso di dotarsi autonomamente di “Codici Etici”, al fine di opporre una barriera ulteriore, oltre a quella delle leggi dello Stato, alla possibile commissione di reati da parte dell’impresa.
Infine, anche l’Europa si è mossa su questa linea, sia sul piano delle singole nazioni, sia a livello comunitario col regolamento 2988 del 1995, il quale all’articolo 7 prevede la possibile applicazione di misure e sanzioni alle persone giuridiche; anche su questa base normativa, è stato emanato nel nostro Paese il D.Lgs. 231/2001, rubricato “Disciplina della responsabilita’ amministrativa delle persone giuridiche, delle societa’ e delle associazioni anche prive di personalita’ giuridica“.
Vedremo, prossimamente, come questo insieme di norme siano in grado di impattare fortemente sulla vita delle aziende.
Avv. Domenico Balestra