22 mar Business Continuity: perchè e come
E’, per certi versi, preoccupante sapere che, delle imprese che hanno subito disastri con pesanti perdite di dati, circa il 43% non ha più ripreso l’attività, il 51% ha chiuso entro due anni e solo il 6% è riuscita a sopravvivere nel lungo termine. Insomma, dove non sono arrivate la perdurante crisi economica e la contrazione dei pagamenti, potrebbero arrivare eventi neppure poi così rari (alluvione, sospensione nell’erogazione di servizi quali energia elettrica o linee telefoniche, ecc.).
La risposta sta, appunto, nel fenomeno del Business Continuity Plan (BCP) e sue emanazioni, consistenti principalmente nel Disaster Recovy Plan (DRP), e cioè nello studio delle contromisure adeguate e dettagliate da mettere in pratica prima, durante e dopo la crisi portata da eventi catastrofici di vario tipo (naturali e non).
Ora, ci si potrebbe chiedere perchè un tema che non riguarda questioni prettamente legali venga qui trattato; le risposte sono, invero, molteplici.
- In primis, le richieste di adeguamento portate da parte di committenti di molteplici settori, fanno si che ormai gli standard di strategie BCP siano stati stabilmente implementati a livello contrattuale, quali vere e proprie obbligazioni ex art. 1173 c.c. Sono quindi frequenti le ipotesi di controversie contrattuali in merito ad applicazione e presunti inadempimenti, risoluzione del contratto e risarcimento del danno;
- In un’ottica di snellimento e coordinamento tra i documenti e le disposizioni aziendali, i modelli BCP possono benissimo essere sviluppati insieme al modello 231 di cui abbiamo già accennato qui e qui. Non c’è infatti occasione migliore per sfruttare la fase di studio dei processi ed interviste, risparmiando su tempi e costi redigendo insieme le procedure;
- Pur esistendo una figura tecnicamente e teoricamente predisposta per la sola gestione del rischio aziendale (Risk Manager) è vero che la dimensione sovente non troppo strutturata delle PMI italiane rende spesso troppo oneroso il ricorso a figure specifiche, con la conseguenza che Direzione ed Amministrazione sono propense ad appoggiarsi a supporter “trasversali” quali, appunto, avvocati (ma anche consulenti sulla sicurezza, informatici ed altri).
Ma quali sono i requisiti di un buon BCP?
Come anche per il Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/2001, sono fermamente convinto che l’occasione e l’investimento, magari “obbligati” da richieste della propria clientela, in un BCP, debbano essere utilizzati quali vero e proprio trampolino per un miglioramento della produttività aziendale (e nel caso specifico anche per la protezione della medesima).
Ciò significa combattere con forza la tendenza a produrre semplice “carta”, buona (forse?) solamente a soddisfare blandi controlli di qualità ma inadatta al suo vero scopo, che, lo si ribadisce ancora una volta, è la conservazione del patrimonio aziendale.
E’ pertanto indispensabile procedere a visite sul posto, attività di interviste e redazione dei modelli, condivisi con il management e portati infine all’adeguata conoscenza di tutte le risorse interne ed esterne; individuare gli owner di processo e i loro collaboratori e
Anche qui varranno, infine, i mai banali canoni della proporzionalità ed adeguatezza rispetto alle dimensioni e tipologia di azienda.
Avv. Domenico Balestra