Leasing e fallimento del locatario

03 nov Leasing e fallimento del locatario

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Poiché il contratto di leasing ha spesso, quale contraente tipico dal lato dell’utilizzatore, una società potenzialmente fallibile (e cioè non avente il possesso congiunto dei tre requisiti di cui all’articolo 1 Legge Fallimentare) e data l’ormai accertata (anche se, forse, in diminuzione) ondata di sentenze di fallimento che ha falcidiato il settore delle imprese italiane, capita sovente che la materia della locazione finanziaria e quella fallimentare si vengano ad incontrare, appunto, quando il locatario viene dichiarato fallito.

Se ricordate l’articolo relativo alla distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, non Vi soprenderà scoprire che tale suddivisione era utilizzata dalla giurisprudenza anche per quanto attiene alla materia fallimentare, laddove veniva ritenuto che, in caso di leasing di godimento, coerentemente con la natura del contratto, i canoni già corrisposti alla concedente alla data del fallimento non andassero restituiti all’utilizzatore, mentre, in caso di leasing traslativo, venendosi a vanificare, col fallimento, la causa principale del contratto (ovverosia il trasferimento definitivo della proprietà del bene) la società di leasing avrebbe dovuto restituire quanto percepito, salvo il diritto ad un equo compenso per l’utilizzo della cosa (applicandosi quindi la “solita” disciplina della vendita con riserva di proprietà).

Mentre, però e come abbiamo visto nel secondo intervento sulla materia del leasing, in tema di diritto civile/finanziario si discute ancora circa la distinzione di cui sopra, in ambito fallimentare il legislatore è invece finalmente intervenuto, introducendo nel Regio Decreto l’articolo 72 quater rubricato “Locazione Finanziaria” (D.L. 5/2006).

Con tale norma, si è specificato che:

  • in primis, il curatore fallimentare, nel caso in cui venga disposto, con sentenza di fallimento, l’esercizio provvisorio dell’impresa, può decidere se procedere col contratto di leasing (opzione prevista come “di default” dall’articolo in parola) ovvero scioglierlo (con ciò dando quindi una disciplina tipica relativamente alla questione della continuazione/scioglimento);
  • nel caso in cui il contratto continui, avremo il subentro del curatore nel medesimo, con la conseguenza che il pagamento dei canoni diviene un debito della massa che deve essere pagato in prededuzione;
  • nel caso in cui il curatore preferisca sciogliere il contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene. Procederà quindi alla vendita del medesimo, con la conseguenza che, laddove realizzi un importo superiore rispetto a quello vantato nei confronti del fallimento (in linea capitale) sarà tenuto a restituire la differenza, mentre quando realizzi un importo inferiore, potrà insinuarsi nello stato passivo per la rimanenza. Sarà in ogni caso necessario insinuarsi tempestivamente al passivo fallimentare da parte della società di leasing;
  • nel caso di fallimento del concedente (caso, invero, poco auspicabile in quanto le società autorizzate possono essere oramai quasi tutte qualificate come too big to fail) il contratto prosegue e l’utilizzatore conserva l’opzione per il riscatto del bene alla scadenza del medesimo.

 

Da notare altresì che il legislatore non fa alcun riferimento, né implicito né tantomeno esplicito, alla suddivisione tra leasing di godimento e traslativo; pertanto, nonostante alcuni tentativi di far rivivere la “vecchia” impalcatura, appare ormai condiviso il pensiero che la disciplina sopra descritta vada applicata in maniera uniforme, indipendentemente dalla eventuale qualifica del contratto.

Avv. Domenico Balestra