23 nov Il piano stragiudiziale di risanamento
Il tristemente noto boom delle crisi di impresa ha portato, nella pratica, alla ricerca di nuove formule per risanare le aziende o quantomeno tentarne la liquidazione senza passare tramite i Tribunali, sia per evitare gli oneri delle procedure “ufficiali”, sia per scansare la pronuncia di sentenza di fallimento, la quale, come è noto, porta con sè (possibili) conseguenze anche di tipo penale.
Mentre ci siamo occupati, in un precedente articolo, di una procedura à metà strada tra il mondo stragiudiziale e quello dei Tribunali, ovverosia il concordato preventivo, trattiamo oggi del c.d. “piano stragiudiziale di risanamento”, è cioè, come dice il nome, di una procedura completamente extra-giudiziale, che il legislatore però ha in qualche modo ufficializzato e promosso con D.L. 83/2012.
Con tale decreto, infatti, è stato modificato l’art. 67 co. III lett. d) Legge Fallimentare, prevedendo la non revocabilità dei pagamenti eseguiti in adempimento del piano, e sempreché la ragionevolezza del piano medesimo sia stata attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili (si parla ormai nella prassi per brevità di “piano ex art. 67 L.F.”).
Ma quali sono, quindi, i requisiti previsti per il piano?
Premesso che il dettato legislativo è decisamente scarno, in quanto la disciplina de quo è solo accennata nell’articolo sopra menzionato, le caratteristiche ricavate dalla giurisprudenza possono così riassumersi:
- come abbiamo visto, la ragionevolezza del piano deve essere attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall’art.28, lettere a) e b) L.F. (avvocati, dottori commercialisti, ragionieri) designato sì dal debitore ma indipendente e quindi non legato all’impresa, mentre è richiesto per il piano il requisito di cui all’art.2501-bis, co. IV c.c. in tema di fusione societaria;
- il piano così attestato deve apparire (e, cioè, risultare verosimilmente) idoneo al risanamento dell’esposizione debitoria ed al riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa;
- le modalità per attuare tale obiettivo sono le più varie e a libera scelta dell’imprenditore debitore (tipicamente, nuovi apporti finanziari dei soci, “nuova finanza”, cessioni di beni, contratti di affitto di ramo aziendale) con gli unici requisiti del dettaglio e della analiticità, onde consentire l’individuazione degli atti che in caso di fallimento andrebbero esenti da revocatoria;
- l’attestazione deve indicare motivazioni e criteri utilizzati dal professionista, anche per consentire una lettura critica ai terzi;
- è consigliabile che il documento abbia data certa (oggi il piano è passibile di pubblicazione nel registro delle imprese);
- è oggi pacificamente ritenuto che non sia sufficiente il mero utilizzo dei dati contabili già presenti in bilancio, ma bensì la verifica (sia formale che sostanziale) che tali dati siano aderenti alla realtà.
Peraltro, va sempre ricordato che l’accordo è del tutto stragiudiziale e pertanto privo di effetti protettivi nei confronti di creditori i quali non vi abbiano aderito e vogliano procedere con azioni esecutive nei confronti del debitore; parimenti, eventuali accordi di ristrutturazione del debito non sono opponibili ai creditori che non lo abbiano sottoscritto, diversamente dagli accordi ex art. 182 bis L.F., i quali sono validi col voto a maggioranza del 60% dei crediti.
Avv. Domenico Balestra