CdA e gestione del rischio aziendale

10 gen CdA e gestione del rischio aziendale

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Abbiamo già trattato, in un precedente articolo, quali sono i sistemi di amministrazione per società per azioni da un punto di vista formale/organizzativo; ci concentriamo oggi invece sul ruolo del CdA nella gestione del rischio, indipendentemente dal tipo di assetto prescelto.

In tutto il mondo il ruolo dell’organo amministrativo si è trasformato col tempo, con una notevole crescita dei compiti ad esso assegnati. Il ruolo chiave del board (almeno nelle società medio-grandi) non è più quello di amministrare la società, bensì quello di controllare e sorvegliare gli amministratori affinché siano loro a gestire l’azienda in maniera efficiente. Si delinea quindi una distinzione di ruoli tra executive directors (con il compito di amministrare la società) e non-executive directors (con compiti di sorveglianza e supervisione sui primi). Tale tendenza è confermata negli USA dal Report of The American Academy’s Corporate Responsability Steering Committe, in Gran Bretagna dal Code of Best Practise, in Germania dal KonTraG del 1998, in Francia dal Codice del Commercio, in Spagna dal Còdigo Olivencia.

In Italia, disposizioni simili sono state introdotte con la riforma del 2003 (D.Lgs. 6/2003).

L’articolo 2392 c.c., in tema di responsabilità degli amministratori sia per atti che per omissioni, postula l’esistenza di un rapporto organico di amministrazione con la società, in forza del quale colui che opera come amministratore è inserito nell’organizzazione sociale e richiama genericamente gli obblighi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo, tralasciando di formare un elenco di doveri che non potrebbe in ogni caso essere esaustivo.
Altro punto controverso è l’obbligo di diligenza come criterio di valutazione della responsabilità amministrativa; il confine tra errore inevitabile con l’ordinaria diligenza ed errore che la diligenza avrebbe evitato non è di agevole determinazione.

Ultimamente, la Cassazione è intervenuta sulla questione, differenziando la diligenza richiesta a seconda del tipo di obbligazioni gravanti sugli amministratori: per quelle a contenuto specifico, gli amministratori sono esenti da responsabilità solo per impossibilità della prestazione per causa non imputabile ex art. 1218 c.c.; per quelle a contenuto generico, l’agire diligente è compenetrato nel contenuto della prestazione dell’amministratore.

Con la riforma del 2003, il legislatore sembra comunque addivenire ad una soluzione del problema, attraverso l’articolo 2403 c.c. il quale, seppur dedicato al collegio sindacale, sancisce l’obbligo di rispettare i principi di corretta amministrazione. In questo modo il legislatore si è parzialmente sganciato dalla sola nozione di diligenza, richiamando anche gli articoli 1175 c.c. e 1375 c.c. sulla correttezza e buona fede, sostanzialmente sovrapponibili.
Sull’altro fronte, il già citato articolo 2392 c.c. precisa che la diligenza pretesa dagli amministratori è quella “richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro competenze”.

Pertanto, il Presidente del CdA di una società di capitali, chiamato a rispondere come coobbligato solidale per omissione di vigilanza, non può sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni, integranti l’illecito, sono state poste in essere con ampia autonomia da un dirigente della società medesima, come confermato anche dalla Relazione Governativa alla riforma del 2003.

Anche per ciò che concerne le “specifiche competenze” richieste dal codice civile, la Relazione chiarisce che “non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell’amministrazione dell’impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato”.

Capita, infine, che il consiglio attribuisca tutte le competenze ai delegati. Per contrastare tale tendenza, il legislatore con la legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 ha introdotto il principio cardine della creazione di un “assetto organizzativo idoneo a promuovere l’efficienza e la correttezza della gestione dell’impresa sociale” (art. 4, 2° comma, lett. b).

Avv. Domenico Balestra